I temi affrontati in queste due stagioni sono molteplici, attuali e alcuni tratti dalla realtà. La seconda stagione di Serie tv Tredici (seconda stagione) in particolare ha delle scene talmente violente, esplicite e controverse, che molte persone si sono chieste se fosse realmente necessario includerle in una serie per adolescenti. Gli sceneggiatori si sono giustificati sostenendo che hanno sviluppato le storie con l’aiuto di esperti e, di fatto, varie trame della seconda stagione si basano su vicende realmente accadute. L’obiettivo dei creatori di Tredici era proprio questo, ovvero dimostrare che ci sono situazioni apparentemente surreali ma che fin troppo spesso hanno riscontro nella realtà. Ed è proprio la sensazione che si sta assistendo a qualcosa di surreale che mi ha accompagnato durante la visione della serie. Ma questa sensazione non è altro che una difesa da un pensiero che genera angoscia: queste cose esistono, sono fin troppo reali. Non assistiamo a supereroi che volano e lottano contro creature aliene, non assistiamo ad una banda di nani ed elfi alla ricerca di un anello che porrà fine a tutti i mali del mondo; nello schermo si susseguono le vicende di un gruppo di adolescenti che fa i conti con le difficoltà legate a questa particolare fase di vita: il sentirsi accettati dal gruppo dei pari, la possibilità di fidarsi delle amicizie, la scoperta della sessualità e della propria identità, il rapporto con i genitori, il rapporto con le autorità dell’istituzione scuola, la modalità di gestire e superare il dolore e l’ansia, la paura di essere brutti, il sentirsi fragili dentro e il doversi mostrare spavaldi fuori.
Uno dei personaggi più controversi a mio avviso è Tyler, il ragazzo timido e introverso appassionato di fotografia. Non ha amici se non la sua macchina fotografica, che porta sempre con sé e che usa per immortalare tutti gli eventi scolastici, ufficiali e non. La sua mania per le fotografie lo porta a essere poco apprezzato dai compagni, che si infastidiscono non appena lo vedono. Spesso è preso di mira da parte dei bulli della scuola, e Hanna gli dedica una cassetta a causa di alcune foto scattate di nascosto e poi fatte circolare in cui si vede Hanna baciarsi con un’altra ragazza. Nella seconda stagione Tyler fa un’evoluzione importante. Stringe amicizia con Cyrus, un ragazzo punk con idee ben precise sul sistema e su come sovvertirlo. Questa amicizia si rivela malsana per entrambi i ragazzi: iniziano a compiere atti vandalici ai danni del gruppo dei bulli della scuola, imparano a usare le armi (ricordiamoci che la serie è ambientata in America, un paese dove le armi vengono vendute nei supermercati), si mettono nei guai più di una volta. Tyler è felice, finalmente ha stretto amicizia, ha trovato un gruppo che lo accetta, ha trovato un amico. Ma una serie di eventi porta la situazione a precipitare: dopo aver litigato con Cyrus, ma soprattutto dopo aver subito violenze in un bagno (tre ragazzi lo violentano con un bastone di scopa), la psiche del ragazzo crolla definitivamente. Personalmente ogni volta che vedevo Tyler, durante la visione della serie, avevo in mente la canzone “Jeremy” dei Pearl Jam. E non avevo tanto torto visto che Tyler alla fine della seconda stagione decide di fare una strage durante il “ballo di primavera” della scuola, presentandosi a scuola armato come un militare in guerra. Sarà Clay a farlo ragionare e a fermarlo. Le vicende di Tyler, pur sembrando surreali, prendono spunto purtroppo da fatti di cronaca realmente accaduti; sia la violenza subita nei bagni della scuola (in una scuola del Tennessee nell’ottobre del 2017, cinque ragazzi tentarono di violentare un coetaneo con un palo di metallo), sia il percorso verso la follia che richiama molto al massacro della Columbine High School avvenuto nel 1999 (Infatti, uno stralcio di dialogo dell’ultimo episodio è preso interamente dall’attacco reale. Tyler dice a Clay: “Vattene da qui. Vattene a casa”. Eric Harris, uno degli assassini, vide uno dei suoi amici prima di entrare nel famoso liceo e gli disse queste esatte parole. La destrezza nel costruire bombe casalinghe o le magliette che vediamo indossare ad entrambi sono anch’esse citazioni a Harris e al suo compagno Dylan Klebold). Il legame tra bullismo e reazioni violente contro la scuola ha cominciato ad attrarre sempre più attenzioni in seguito al massacro alla Columbine del 1999. Entrambi gli autori della strage erano considerati ragazzi dotati, che a quanto pare erano stati vittime di atti di bullismo per anni.
G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo
Qualche giorno fa ho terminato di guardare la seconda stagione della tanto discussa quanto acclamata serie tv Tredici. Non avevo grandi aspettative, personalmente credo che difficilmente le seconde stagioni riescano a eguagliare il successo delle prime, soprattutto quando le prime stagioni sono basate su un libro di successo. Ma non sono qui per discutere su quanto sia bella o brutta la seconda stagione di Tredici, più semplicemente vorrei utilizzare la serie come spunto per poter riflettere su alcuni temi purtroppo molto attuali.
Tredici (13 Reasons Why, reso graficamente TH1RTEEN R3ASONS WHY) ruota attorno alle vicende che seguono il suicidio dell'adolescente Hannah Baker, la quale ha registrato i tredici motivi che l'hanno spinta a suicidarsi. La Liberty High School, liceo di una piccola cittadina americana, è sconvolta dal recente suicidio della studentessa, tagliatasi le vene qualche settimana prima. Clay Jensen, anch'esso studente della Liberty High, tornando a casa trova una scatola sulla veranda al cui interno ci sono sette cassette registrate dalla stessa Hannah, in cui spiega le tredici ragioni che l'hanno spinta a togliersi la vita. Clay capisce così di avere a che fare con questa storia e inizia l'ascolto dei nastri. Lo spettatore è catapultato all’interno di una scuola superiore americana, dove si intrecciano le vite di un gruppo di adolescenti che, in un modo o in un altro, provano a “sopravvivere” giorno dopo giorno.
Devo dare per scontato che chi sta leggendo abbia già visto entrambe le stagioni, perché la trama è complessa, i personaggi sono così tanti che descriverli tutti mi porterebbe lontano dalle intenzioni con cui sto scrivendo queste pagine. Se ancora non avete visto Tredici affrettatevi a farlo, perché bella o brutta che sia penso che sia una serie da vedere. Va vista per le emozioni che suscita, per i contenuti estremamente reali (anche se a volte possono apparire esagerati), per lo sguardo che pone al dolore adolescenziale e per le modalità con cui questo dolore viene espresso in questa epoca, dolore che non coinvolge solo gli adolescenti ma tutta la comunità.
Non solo Tredici è una serie che va vista, ma va vista “insieme”, non nel senso del binge watching (termine con cui si indica l'atto del binge-watch ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente l'usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste), ma nel senso che, a mio avviso, andrebbe vista da genitori e figli adolescenti (o pre-adolescenti) insieme, perché la visione di questa serie può diventare una grande occasione di confronto tra due generazioni, apparentemente lontane tra loro, su tematiche importanti quali il suicidio, il bullismo, il cyber bullismo, il sexting, la pornografia, il sesso, la dipendenza, l’uso di alcool, i contenuti violenti dei videogame, le relazioni tra genitori e figli, il cutting e molti altri ancora. Un piccolo consiglio per i genitori: guardatela prima voi, e poi guardatela una seconda volta con i vostri figli: sarete più preparati ad affrontare certi argomenti. E questi argomenti vanno sicuramente affrontati, in quanto le narrazioni aiutano i ragazzi a configurare e mostrare i loro bisogni profondi, dato che, alla loro età, sono disposti a parlare di sé agli adulti solo indirettamente. Conoscere il libro, la canzone, il film, e appunto la serie tv, preferiti di un adolescente è essenziale per cogliere la direzione del suo sguardo. Conoscere le narrazioni con cui si identificano è essenziale. La letteratura è un lusso ma la narrativa è una necessità. Le serie tv sono un banchetto per la fame di storie, che ci caratterizza e va oltre la mera necessità di allentare la tensione del duro vivere quotidiano. Vale soprattutto per gli adolescenti, per i quali le narrazioni sono veri e propri saggi di identità personale e sociale. La nostra identità è un racconto, senza il quale ci perderemmo negli eventi senza riuscire a dar loro un senso. Sin da bambini amiamo ascoltare le stesse favole, raccontate nello stesso modo, perché da quelle narrazioni dipende l’ordine del mondo.
Uno dei grandi protagonisti di entrambe le stagioni di Tredici è il silenzio: il silenzio dei non detti tra amici o tra fidanzati, il silenzio dei propri vissuti interiori che non trovano espressione se non in agiti, ma soprattutto il silenzio tra genitori e figli. Non credo sia più accettabile il mutismo tra generazioni, tra padri e madri in una stanza e figli e figlie nell’altra. Nel mutismo prendono il sopravvento rancori e odi. Ovviamente due generazioni non possono condividere gli identici schemi esistenziali o i gusti imposti dalle mode, ma il dissenso non può in alcun modo alterare il legame d’amore. Le visioni del mondo, i comportamenti sostanziali (ma anche quelli di minor rilevanza), vanno discussi, ognuno deve chiaramente esprimere cosa ne pensa, ma non giungere alle imposizioni che spaccano i legami e ammazzano l’amore.
Nella serie Tredici assistiamo a molti (ma non tutti) esempi di “cattiva” genitorialità. Alcuni casi a mio avviso si collocano ai limiti dell’impossibile (come i genitori che continuano a mandare la figlia che ha subito violenze sessuali nella stessa scuola in cui c’è il suo violentatore), ma in linea di massima quella che sembra mancare è la possibilità per questi ragazzi di confidarsi con adulti che non siano troppo distratti dal loro lavoro o da altre esperienze. Nella serie troviamo genitori talmente ricchi da essere sempre in vacanza, o talmente poveri che la loro unica fonte di preoccupazione è il procurarsi la droga; oppure troviamo i genitori della protagonista impegnati nell’avvio della loro attività commerciale e alle prese con una crisi coniugale; o ancora vediamo genitori “amici” che quasi fomentano e appoggiano i comportamenti vandalici e antisociali dei figli; Purtroppo dentro queste famiglie assistiamo inermi ai clichè che gli autori stessi ci impongono, per cui il figlio dei genitori ricchi diventa uno stupratore che “prende ciò che vuole” perché non abituato a sentirsi dire di no, il figlio della donna eroinomane diventa a sua volta tossicodipendente e la figlia adottata dalla coppia omosessuale è a sua volta lesbica. Bisogna andare oltre questi sterili clichè (e ammetto che può non essere facile quando certi fenomeni vengono presentati come effetto diretto e scontato di altri con una naturalezza disarmante) per rendesi conto che la disfunzionalità di queste famiglie è data da una totale mancanza di comunicazione al loro interno.
Le figure adulte presenti nella serie non sembrano figure in cui un adolescente possa identificarsi. Sembrano adulti che fanno i genitori senza esserlo. Nella vita reale occorrerebbe che gli adulti dedicassero più tempo all’essere coerenti e autorevoli, invece che autoritari, lasciando da parte per un po’ la corsa al successo, alla ricchezza, al benessere. Ci sono troppi padri che danno tutto, in termini di oggetti e denaro, ma non sono in grado di essere ascoltati (o di ascoltare) perché mancano di quella credibilità che appunto li fa percepire come modelli da imitare.
G.Massimo Barrale - Psicologo Psicoterapeuta - Palermo